Il Mutus Liber, Libro senza parole o Libro Muto è riconosciuto come un classico della tradizione alchemica del diciassettesimo secolo. Si compone di 15 tavole prive di commento scritto, che rappresentano vividamente il processo alchemico, nel suo svolgimento. Ad un primo messaggio immediatamente percepibile, le fasi della Grande Opera appunto, si sovrappone un articolato simbolismo che, come tutta l'Arte alchemica, richiede intuizione, riflessione e ricerca profonda. Nessuna parola potrebbe mai spiegare l'illuminazione che si sviluppa dalla fusione di uomo e natura. Ad un secondo livello di lettura, così, il Mutus Liber si configura come una sintesi di alchimia spirituale, animistica e fisica, che si svolge su una molteplicità di livelli interpretativi. Mentre l'intero segreto del processo fisico non viene mai interamente rivelato, sono comunque offerte preziose informazioni per porre insieme i dettagli del modus operandi; grandi alchimisti francesi come Canseliet e Barbault trassero grande ispirazione ed indizi per il compimento dell'opera dalla sua lettura.
Eugène Canseliet infatti scrive: "Nessun libro di simbolismo ermetico può essere comparato al Mutus Liber per interesse e rarità, ... in esso tutta la Filosofia ermetica è rappresentata in figure geroglifiche, che è consacrato al Dio misericordioso, tre volte buonissimo e grandissimo, e dedicato ai soli figli dell'arte dall'autore il cui nome è Altus ".
Pubblicato a La Rochelle nel 1677 da un autore celatosi sotto lo pseudonimo di "Altus", il Mutus Liber è ormai introvabile nella sua edizione originale e completa, di cui esiste un esemplare nella Biblioteca Municipale di La Rochelle. Fu da essa che Canseliet (1899-1983), autore e commentatore di molte opere (fra cui ricordiamo Il Mistero delle Cattedrali e Le Dimore filosofali di Fulcanelli, Alchimia, L'Alchimia spiegata sui testi classici, Deux Logis alchimiques, Ixs Douze Clefs de la Philosophie, Trois anciens Traités d'alchimie), realizzò per la prima volta una riproduzione delle splendide tavole, insieme al loro commento. Oltre ad essa, furono eseguite altre ristampe delle tavole di Altus; tra esse la più nota è quella di Jean-Jacques Manget (1702), le cui incisioni, però, in alcuni punti differiscono dalle originali.
giovedì 12 giugno 2008
domenica 27 gennaio 2008
Nulla è sacro, tutto si può dire
La libertà d'espressione è un valore umano nella sua stessa libertà di dire di disumano. Le opinioni razziste, xenofobe, sessiste, sadiche, astiose, sprezzanti hanno lo stesso diritto di esprimersi dei nazionalismi, delle credenze religiose, delle ideologie settarie dei clan corporativisti che le incoraggiano apertamente o subdolamente secondo le fluttuazioni dell'ignominia demagogica. Le leggi che le reprimono, quale, in Francia, la legge Gaussot del 1992, attaccano il "puerile rovescio delle cose" senza nemmeno sfiorare le cause.
Esorcizzando il male anziché prevenirlo e guarirlo. Sostituiscono la sanzione all'istruzione. Quelle che devono essere condannate non sono le idee, ma le vie di fatto. Oggetto d'incriminazione non devono essere i discorsi ignominiosi del populismo - altrimenti bisognerebbe denunciare anche la loro subdola infiltrazione e la loro presenza camuffata nelle dischiarazioni demagogiche della politica clientelare e benpensante -, ma le violenze contro beni e persone, perpetrate dai fautori della barbarie.
Il buonsenso dimostra che è incoerente proibire Mein Kampf di Hitler, Bagatelle per un massacro di Céline, i Protocolli dei savi anziani di Sion, o le opere revisioniste, e, d'altro canto, tollerare le frasi misogine di Paolo di Tarso e del Corano, le diatribe antisemite di San Gerolamo e Lutero, un libro farcito d'infamie come la Bibbia, l'esibizione compiaciuta delle violenze che costituiscono la materia ordinaria dell'informazione, l'affissione onnipresente della menzogna pubblicitaria e le tante falsità storiche ratificate dalla storia ufficiale.
È meglio non dimentircarlo: una volta instaurata, la censura non conosce limiti, perché la purificazione etica si nutre della corruzione da essa denunciata.
Non si combattono e non si scoraggiano l'ottusità e l'ignominia vietando loro di esprimersi: la miglior critica di uno stato di fatto deplorevole consiste nel creare la situazione che vi pone rimedio. L'ottusità, l'infamia, il pensiero ignobile sono il pus di una sensibilità ferita.
Impedire che scorra significa infettare la ferita anziché diagnosticarne le cause al fine di guarirla. Se non vogliamo che un'aberrazione finisca con l'infettare il tessuto dociale come un tumore maligno, dobbiamo riconoscerla per quello che è: il sintomo di un male nell'individuo e nella società.
Il sintomo non è condannabile; condannabile è la nostra poca prontezza nello radicare le condizoni che propagano il prurito, l'ascesso, la peste. Al desiderio di "schiacciare l'infame" è preferibile nutrire il desiderio di vivere meglio... ovvero più umanamente.
La libertà di parola non fa altro che esprimere, al meglio e più di frequente al peggio, ciò che è nascosto nel corpo e nella coscienza dell'uomo, snaturato da secoli di disumanità. Nessuna ignominia deve restare indicibile, pena il radicarsi ancor più di un comportamento solipsistico di cui essa corrobora le cause.
Oggi possiamo constatare come le ideologie inclini a professare il disprezzo di sé e degli altri si espongano al ridicolo via via che lo spirito di clan, di tribù, di nazione, il razzismo, la xenofobia, la misogninia, l'avarizia, l'utoritarismo, l'istinto di appropriazione e di predazione, il desiderio di avere e di apparire più che di essere rifluiscono lentamente verso il passato.
L'infamia con cui vengono marchiate le rinsalda nella loro indegnità e nella loro melensa nostalgia: non c'è nulla che rafforzi tanto l'ottusità quanto il rendere ragione mediante l'esacrazone e la polemica. Se tante cattive reputazioni sono dovute soltanto al disprezzo e all'odio, è perché esiste, tra chi disprezza e chi è disprezzato, una segreta e reciproca attrazione.
La proibizione pungola la trasgressione. Ciò che è represso suscita la voglia di "sfogo" e gli inganni del risentimento. Accanirsi contro l'ottusitò e l'ignominia porta soltanto a renderle più subdole e più odiose. Schiacciare l'infamia la risuscita sotto un'altra forma; anziché favorire la felicità individuale, ne cancella perfino il ricordo.
Il modo peggiore di condannare certe idee è quello di criminalizzarle. Un crimine è un crimine e un'opinione non è un crimine, quale che sia l'influenza che le si imputa. Vietare un discorso col pretesto che può essere nocivo o scandaloso significa disprezzare coloro che lo ascoltano e ritenerli incapaci di respingerlo come aberrante o ignobile. Significa difatti, secondo il metodo del clientelismo politico e consumistico, convincerli implicitamente che hanno bisogno di una guida, di un guru, di un maestro.
Le opinioni sono un pretesto, non una causa.
Le idee maligne muoiono del loro stesso veleno. Lasciate che si esprimano e si condanneranno da sole quando, sull'esempio della libertà che gli concederete, i costumi, anziché ritrarsi timorosamente dietro i bastioni di una protezione illusoria, si apriranno a una maggior umanità, a una maggior intelligenza, a una comprensione più grande che, togliendo i divieti, scoraggerà la loro trasgressione.
Non c'é simbolo, per odioso che sia, che gli atti del vivente non abbiamo il potere di neutralizzare. È assurdo vietare di portare il velo a delle giovani assoggettate all'islam. Imposto dalla famiglia, susciterà la ribellione, rivendicato come l'espressione di un'identità religiosa, diventerà, quando esse scopriranno la libertà dell'amore e della donna, un fronzolo simile alla veletta o alla mantiglia che la buona creanza cristiana esigeva dalle fedeli nell'epoca in cui la Chiesa tiranneggiava ancora le menti e i corpi, or non è molto.
Nessuna verità merita che ci si prostri di fronte a essa. Ogni essere umano ha il diritto di criticare e contraddire ciò che sembra una certezza o passa per un'evidenza scientificamente provata. Le speculazioni più folli, le asserzioni più deliranti seminano a modo loro il campo delle verità future e impediscono di ergere ad utorità assoluta la verià di un'epoca.
Nella fantasia più sbrigliata, nella menzogna più sfrontata c'e' una scintilla di vita che può ravvivare tutti i fuoci del possibile. Il fiorire delle eccentricità sta a ricordare che il centro della vita è ovunque e si schiude su una varietà infinita di scelte.
Una verità imposta con la forza è una verità che si corrompe. Non avendo tutti la medesima percezione della realtà, è bene che ci prendiamo la libertà di esprimerla e di comunicarla nella sua diversità, e in particolare al di fuori della prospettiva riduttrice che le mentalità impregnate dagli imperativi economici tendono a imporre come visione unica e razionale del reale. Rifiutare le tesi di Reich sull'orgone o di Benveniste sulla memoria dell'acqua non scusa affatto la mascalzonata di coloro che non hanno esitato a cacciarli dal loro laboratorio e a perseguitarli.
Una verità imposta si vieta umanamente d'esser vera. Ogni preconcetto dato per eterno o incorruttibile esala l'odore fetido di Dio e della tirannia.
D'altronde, il più miserabile dei criminali ha diritto a un avvocato che lo difenda, e chi rifiuterebbe la parola a un idiota, a un visionario, a un bugiardo psicopatico, a un Erostrato che incendia con i suoi discorsi i templi dell'evidenza?
Raul Vaneigem,"Nulla è sacro, tutto si può dire", 2003, edizione Ponte delle grazie
Esorcizzando il male anziché prevenirlo e guarirlo. Sostituiscono la sanzione all'istruzione. Quelle che devono essere condannate non sono le idee, ma le vie di fatto. Oggetto d'incriminazione non devono essere i discorsi ignominiosi del populismo - altrimenti bisognerebbe denunciare anche la loro subdola infiltrazione e la loro presenza camuffata nelle dischiarazioni demagogiche della politica clientelare e benpensante -, ma le violenze contro beni e persone, perpetrate dai fautori della barbarie.
Il buonsenso dimostra che è incoerente proibire Mein Kampf di Hitler, Bagatelle per un massacro di Céline, i Protocolli dei savi anziani di Sion, o le opere revisioniste, e, d'altro canto, tollerare le frasi misogine di Paolo di Tarso e del Corano, le diatribe antisemite di San Gerolamo e Lutero, un libro farcito d'infamie come la Bibbia, l'esibizione compiaciuta delle violenze che costituiscono la materia ordinaria dell'informazione, l'affissione onnipresente della menzogna pubblicitaria e le tante falsità storiche ratificate dalla storia ufficiale.
È meglio non dimentircarlo: una volta instaurata, la censura non conosce limiti, perché la purificazione etica si nutre della corruzione da essa denunciata.
Non si combattono e non si scoraggiano l'ottusità e l'ignominia vietando loro di esprimersi: la miglior critica di uno stato di fatto deplorevole consiste nel creare la situazione che vi pone rimedio. L'ottusità, l'infamia, il pensiero ignobile sono il pus di una sensibilità ferita.
Impedire che scorra significa infettare la ferita anziché diagnosticarne le cause al fine di guarirla. Se non vogliamo che un'aberrazione finisca con l'infettare il tessuto dociale come un tumore maligno, dobbiamo riconoscerla per quello che è: il sintomo di un male nell'individuo e nella società.
Il sintomo non è condannabile; condannabile è la nostra poca prontezza nello radicare le condizoni che propagano il prurito, l'ascesso, la peste. Al desiderio di "schiacciare l'infame" è preferibile nutrire il desiderio di vivere meglio... ovvero più umanamente.
La libertà di parola non fa altro che esprimere, al meglio e più di frequente al peggio, ciò che è nascosto nel corpo e nella coscienza dell'uomo, snaturato da secoli di disumanità. Nessuna ignominia deve restare indicibile, pena il radicarsi ancor più di un comportamento solipsistico di cui essa corrobora le cause.
Oggi possiamo constatare come le ideologie inclini a professare il disprezzo di sé e degli altri si espongano al ridicolo via via che lo spirito di clan, di tribù, di nazione, il razzismo, la xenofobia, la misogninia, l'avarizia, l'utoritarismo, l'istinto di appropriazione e di predazione, il desiderio di avere e di apparire più che di essere rifluiscono lentamente verso il passato.
L'infamia con cui vengono marchiate le rinsalda nella loro indegnità e nella loro melensa nostalgia: non c'è nulla che rafforzi tanto l'ottusità quanto il rendere ragione mediante l'esacrazone e la polemica. Se tante cattive reputazioni sono dovute soltanto al disprezzo e all'odio, è perché esiste, tra chi disprezza e chi è disprezzato, una segreta e reciproca attrazione.
La proibizione pungola la trasgressione. Ciò che è represso suscita la voglia di "sfogo" e gli inganni del risentimento. Accanirsi contro l'ottusitò e l'ignominia porta soltanto a renderle più subdole e più odiose. Schiacciare l'infamia la risuscita sotto un'altra forma; anziché favorire la felicità individuale, ne cancella perfino il ricordo.
Il modo peggiore di condannare certe idee è quello di criminalizzarle. Un crimine è un crimine e un'opinione non è un crimine, quale che sia l'influenza che le si imputa. Vietare un discorso col pretesto che può essere nocivo o scandaloso significa disprezzare coloro che lo ascoltano e ritenerli incapaci di respingerlo come aberrante o ignobile. Significa difatti, secondo il metodo del clientelismo politico e consumistico, convincerli implicitamente che hanno bisogno di una guida, di un guru, di un maestro.
Le opinioni sono un pretesto, non una causa.
Le idee maligne muoiono del loro stesso veleno. Lasciate che si esprimano e si condanneranno da sole quando, sull'esempio della libertà che gli concederete, i costumi, anziché ritrarsi timorosamente dietro i bastioni di una protezione illusoria, si apriranno a una maggior umanità, a una maggior intelligenza, a una comprensione più grande che, togliendo i divieti, scoraggerà la loro trasgressione.
Non c'é simbolo, per odioso che sia, che gli atti del vivente non abbiamo il potere di neutralizzare. È assurdo vietare di portare il velo a delle giovani assoggettate all'islam. Imposto dalla famiglia, susciterà la ribellione, rivendicato come l'espressione di un'identità religiosa, diventerà, quando esse scopriranno la libertà dell'amore e della donna, un fronzolo simile alla veletta o alla mantiglia che la buona creanza cristiana esigeva dalle fedeli nell'epoca in cui la Chiesa tiranneggiava ancora le menti e i corpi, or non è molto.
Nessuna verità merita che ci si prostri di fronte a essa. Ogni essere umano ha il diritto di criticare e contraddire ciò che sembra una certezza o passa per un'evidenza scientificamente provata. Le speculazioni più folli, le asserzioni più deliranti seminano a modo loro il campo delle verità future e impediscono di ergere ad utorità assoluta la verià di un'epoca.
Nella fantasia più sbrigliata, nella menzogna più sfrontata c'e' una scintilla di vita che può ravvivare tutti i fuoci del possibile. Il fiorire delle eccentricità sta a ricordare che il centro della vita è ovunque e si schiude su una varietà infinita di scelte.
Una verità imposta con la forza è una verità che si corrompe. Non avendo tutti la medesima percezione della realtà, è bene che ci prendiamo la libertà di esprimerla e di comunicarla nella sua diversità, e in particolare al di fuori della prospettiva riduttrice che le mentalità impregnate dagli imperativi economici tendono a imporre come visione unica e razionale del reale. Rifiutare le tesi di Reich sull'orgone o di Benveniste sulla memoria dell'acqua non scusa affatto la mascalzonata di coloro che non hanno esitato a cacciarli dal loro laboratorio e a perseguitarli.
Una verità imposta si vieta umanamente d'esser vera. Ogni preconcetto dato per eterno o incorruttibile esala l'odore fetido di Dio e della tirannia.
D'altronde, il più miserabile dei criminali ha diritto a un avvocato che lo difenda, e chi rifiuterebbe la parola a un idiota, a un visionario, a un bugiardo psicopatico, a un Erostrato che incendia con i suoi discorsi i templi dell'evidenza?
Raul Vaneigem,"Nulla è sacro, tutto si può dire", 2003, edizione Ponte delle grazie
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